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Apiyo Amolo | Arte Laguna Prize

Yvonne Apiyo Brändle-Amolo: la rivoluzione quotidiana di una guerriera gentile

Dal Kenya al parlamento svizzero, passando per Venezia e Arte Laguna Prize: negli occhi ha un mondo, Yvonne Apiyo Brändle-Amolo, donna d’ispirazione, artista, modello di empowerment femminile, attivista per i diritti umani e delle minoranze. O meglio, FemARTivistfeminist artist activist – come lei stessa preferisce definirsi. Una massa di capelli ricci, un portamento elegante, la voglia di andare incontro alla gente, confrontarsi, conversare. Se dovesse raccontare la sua vita, Apiyo non potrebbe tralasciare tutta la serie di eventi dolorosi che l’hanno segnata, finendo tuttavia per fortificarne il carattere. L’infanzia sulle sponde del Lago Vittoria nello stesso villaggio da cui era originario il padre di Barack Obama, i soprusi subìti in un Paese complesso, la nuova vita in Svizzera, un divorzio, la lotta per rimanere nel suo Paese di adozione, poi la partecipazione ad Arte Laguna Prize e la svolta. Ora Apiyo vanta un seggio nel parlamento svizzero, anche se è più probabile incontrarla tra la gente a difendere le battaglie per le quali lotta da anni oppure tra i corridoi delle Nazioni Uniti, con cui collabora in qualità di esperta.

È, però, a Venezia che la ritroviamo lo scorso 11 marzo, alla serata inaugurale della mostra dei finalisti della 16° e 17° edizione di Arte Laguna Prize, affermato premio d’arte contemporanea dal sapore internazionale. Oggi è chiamata a presentare l’evento; nove anni fa compariva tra gli artisti espositori. Si aggira, raggiante e maestosa, in un abito in velluto rosso cucito da lei stessa, su cui ha applicato tante mascherine in porcellana acquistate il giorno del suo arrivo a Venezia, omaggio alla città del Carnevale che le ha cambiato la vita. E ai presenti che la fermano per qualche foto e per farle i complimenti, Apiyo non esita a menzionare come, in fondo, tutto sia partito proprio da lì, sotto le volte dell’Arsenale.

Corre, infatti, l’anno 2014 quando un’artista sconosciuta, originaria del Kenya, colpisce la giuria della sezione video arte e performance con un cortometraggio intitolato Not Swiss Made (2012). Il video è ispirato alla sua storia personale, a quel momento di limbo attraversato dopo il divorzio quando Apiyo vede concretizzarsi il rischio di perdere la cittadinanza elvetica, essere privata di un titolo di soggiorno regolare e diventare così una sans-papiers. Alla base dell’opera, le contraddizioni vissute da chi porta nel proprio bagaglio due culture. Nello specifico, il paradosso vissuto dall’artista, in bilico tra un marito che ormai la considera “troppo svizzera” a fronte di un Paese per il quale invece non lo è abbastanza, nonostante praticare il canto tradizionale dello jodel sia tra le sue passioni. Il cortometraggio Not Swiss Made smuove le acque della laguna, aggiudicandosi il primo premio nella categoria e le lacrime dell’artista, quando sale sul palco per ritirare il premio, rimangono negli annali della mostra.

Dopo il successo a Venezia, Apiyo fa rientro a Zurigo, dove viene convocata da un partito politico curioso di visionare la sua opera e sentirne le motivazioni. «All’epoca non sapevo si trattasse del maggior partito di sinistra in Svizzera» confessa. Poi la proposta, semplice e diretta – «Vorresti fare politica?» – e, sulle prime, il rifiuto: «Sono un’artista, ho solo fatto questo video e vinto un premio ad Arte Laguna; non so niente di politica». Apiyo ancora non se ne rende conto ma con quel video che parla alla gente e difende i diritti delle minoranze, si è schierata politicamente più di quanto possa immaginare. Inizia così il suo tour attraverso i 26 cantoni della Svizzera, mostrando la sua opera, ricercando il confronto con le persone attorno ai temi messi in luce. Poco dopo viene inserita nelle liste per le elezioni federali, venendo eletta in quanto membro del Parlamento svizzero.

Nel perseguire la propria missione politica e sociale, Apiyo è chiara: «Invece di sottolineare le differenze, preferisco mettere in risalto gli elementi in comune». Questo l’obiettivo che guida le sue campagne. Per abbattere il muro del razzismo, nella sua Svizzera adottiva va raccontando le similarità dello yodeling con i canti praticati da alcune tribù africane, soprattutto nella zona della foresta pluviale. A Venezia, invece, mette in luce la somiglianza tra la cultura africana e quella italiana, entrambe fondate sull’importanza della famiglia ed accomunate pure da un piatto tipico: la polenta e l’ugali, ricetta a base di mais bianco tipica del Kenya.

Oggi Apiyo continua a fare arte – fino a metà giugno, una sua video installazione è visibile al pubblico nel municipio di Zurigo – perché questo è per lei il mezzo più efficace per parlare di politica. «Per le persone è più facile capire questioni importanti così; tramite l’arte non si sentono aggredite». Attraverso l’arte Apiyo porta avanti numerose iniziative finalizzate ad abbattere stereotipi razziali e di genere ma anche a promuovere la sostenibilità ambientale. Ne è un esempio AgroCity, progetto che mira alla creazione di una città in Tanzania destinata all’emancipazione e alla formazione di donne e bambini, i soggetti che  «in ogni ambito della vita pagano doppio rispetto agli uomini». In un contesto geografico e culturale in cui donne e bambini sono costantemente minacciati – si pensi ai rischi legati al parto in precarie condizioni sanitarie oppure ai chilometri da percorrere per attingere all’acqua potabile – il progetto di Apiyo vuole far creare un ambiente sicuro in cui insegnare anche la coltivazione delle piante, il rispetto degli animali ed altre abilità pratico-manuali. «Queste donne diventeranno insegnanti, imprenditrici… Rendendole indipendenti, si potranno anche ridurre le migrazioni verso l’Europa» continua, evidenziando come, sviluppando condizioni di vita adeguate, «è possibile può vivere una vita serena anche in Africa».

Tra le numerose attività che la vedono in prima linea, ora Apiyo è anche presidente del Swiss Diversity Award, associazione elvetica finalizzata alla promozione della diversità e dell’inclusione, promotrice dell’idea secondo la quale «chiunque può apportare il proprio contributo per la realizzazione di grandi visioni». Insomma, non riesce proprio a fermarsi, Apiyo – combattente dai modi gentili – lei che, giorno dopo giorno, con piccoli gesti e la sua testimonianza, porta avanti una vera e propria rivoluzione. Lei, convinta che «solo una società inclusiva è una società libera», con il suo esempio quotidianamente celebra la diversità e ricorda come anche una donna di colore possa cantare lo jodel indossando un dirndl.